L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le mutilazioni genitali femminili (MGF) come “tutte le forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”. Queste sono pratiche/violenze ancora oggi subite da 200 milioni di donne nel mondo. In particolare sono più diffuse nel continente Africano, secondariamente nel continente Asiatico, ma sono registrati casi anche in Europa, Australia e Stati Uniti.
I tipi di mutilazione genitale femminile più praticati sono:
- Tipo I (circoncisione o infibulazione): circoncisione e rimozione del clitoride
- Tipo II (escissione o clitoridectomia): asportazione del clitoride e taglio parziale o totale delle piccole labbra
- Tipo III (infibulazione faraonica o sudanese): clitoridectomia, escissione completa delle piccole labbra e cucitura delle grandi labbra, con chiusura quasi completa dell’ostio vulvare.
- Tipo IV: include varie pratiche di manipolazione degli organi genitali femminili come piercing, pricking (compressione del clitoride e delle piccole labbra), incisione o allungamento del clitoride e/o delle labbra, cauterizzazione per ustione del clitoride e dei tessuti circostanti, raschiatura dell’orifizio vaginale, introduzione di sostanze corrosive.
Le MGF sono legate alla cultura e alla religione delle comunità che le praticano. Vengono utilizzate per definire l’appartenenza di genere e per manifestare il concetto di purezza della donna a seguito della rimozione di parti del corpo ritenute “sporche”. Queste pratiche mirano anche alla riduzione o alla totale inibizione della libido così da scoraggiare rapporti extraconiugali.
E’ una tradizione che viene tramandata di generazione in generazione come gesto d’amore da madre a figlia al fine di forgiare animo e spirito di quest’ultima.
Su coloro che si rifiutano spesso incombe lo stigma dell’esclusione sociale.
Le MGF violano le principali convenzioni internazionali relative ai diritti umani, ai diritti delle donne e ai diritti del fanciullo.
- Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948):
- Art. 25: proclama il diritto di ogni essere umano di vivere in condizioni tali da godere buona salute e assistenza sanitaria;
- Art. 5: nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti.
- Convenzione dei diritti del fanciullo (1989):
- Art. 24: stabilisce che gli Stati debbano prendere tutte le misure efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali che possano risultare pregiudizievoli alla salute del fanciullo.
- Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne(1981): condanna ogni discriminazione sulla base del sesso, che ha come obiettivo quello di porre la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo;
- Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo (1990):
- Art. 16: afferma che nessun bambino deve essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti, in particolare ogni forma di lesione fisica o di trauma mentale;
- Art. 21: gli Stati devono prendere parte alle misure appropriate per abolire le consuetudini e le pratiche negative di tipo sociale e culturale.
- Carta africana dei diritti umani e dei popoli (1981):
- Vi è un protocollo aggiuntivo, di Maputo, Art. 5, che proibisce tutte le forme di mutilazioni, impegnandosi a sensibilizzare la popolazione e sostenere e proteggere chiunque ne risulti vittima.
Si può affermare che bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Sono delle pratiche estremamente traumatiche e umilianti, che privano le donne della possibilità di decidere sulla propria salute sessuale e riproduttiva.
Le complicanze a breve termine più comuni sono problemi urinari, processi infettivi locali, morte per shock emorragico o settico.
A lungo termine invece le vittime riscontrano riduzione della libido, dolore durante l’atto sessuale, problemi mestruali e nella gravidanza e non mancano i risvolti psicologici.
Il trauma subito incide pesantemente sull’autostima della donna, che porta con sé senso di angoscia e paura. In molti casi può essere diagnosticato anche un vero e proprio disturbo da stress post-traumatico.
Qual è la situazione in Italia?
Secondo una ricerca dell’Università di Milano – Bicocca, nel 2016 il numero delle persone stranieri ultra quindicenni con MGF residenti in Italia, era compreso tra 60mila e 81mila.
Questi numeri includono sia le donne con MGF provenienti dai Paesi in cui si praticano, sia bambine che subiscono la pratica durante il periodo di permanenza in Italia o durante un periodo nel Paese di origine.
In base alla Legge 9 gennaio 2006, n. 7 – “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile”, chiunque pratichi l’infibulazione è punito con la reclusione da 4 a 12 anni, pena aumentata di 1/3 se la mutilazione viene compiuta su una minorenne, nonché in tutti i casi in cui viene eseguita per fini di lucro.
Inoltre l’art. 4 della legge prevede che il Ministero emani linee guida per professionisti socio-sanitari che lavorano nelle comunità di migranti provenienti da Paesi in cui si praticano MGF.
Questo con la finalità di formare il personale sanitario per rispondere in modo adeguato ad un bisogno specifico di salute.
Principi di intervento indicati dal Ministero della Salute
- Promuovere la difesa attiva del diritto alla salute, all’integrità della propria persona che ogni bambina e ogni donna possiede, al di là di ogni tradizione e convenzione;
- Porre attenzione al falso relativismo culturale, di rispetto di tradizioni che contrastano con i principi fondamentali della Costituzione italiana e delle più importanti convenzioni internazionali, ratificate anche da molti Paesi che praticano le MGF;
- Conoscere queste tradizioni nella loro giusta dimensione, evitare stigmatizzazioni e/o criminalizzazioni;
- Predisporre il terreno al dialogo, all’accoglienza di chi di queste pratiche è stato vittima, di chi in merito a queste pratiche si trova a decidere in contrasto con la propria coscienza, con la propria comunità;
- Diffondere la conoscenza,alle comunità interessate, circa il proibizionismo delle suddette pratiche in Italia Non per una forma di discriminazione nei loro confronti né per una forma di avversione alla loro cultura, ma in nome di principi universali di libertà, di uguaglianza tra uomini e donne, della tutela dell’integrità fisica e psichica dei minori, del rispetto della dignità della persona: principi che in Italia sono diritti di tutti, anche delle donne provenienti da Paesi a tradizione escissoria, principi posti a base della convivenza;
- Predisporre le strutture sanitarie ad affrontare queste problematiche, che gli operatori sanitari e socio-culturali siano informati sull’esistenza di queste tradizioni e sappiano offrire alle donne sottoposte a tali pratiche l’assistenza necessaria sia nella maternità, che nelle patologie legate a queste pratiche;
- Promuovere un’informazione scientifica-medica, sociologica ed antropologica, a tutti gli operatori sanitari, per stabilire relazioni positive con le donne che si rivolgono alle strutture sanitarie e con le comunità che praticano le MGF;
- Fare in modo che operatori sanitari e sociali siano in grado di contrastare la pratica di MGF sul nostro territorio sottraendo a questo destino le bambine. Per rispettare il diritto delle bambine alla salute, ad una vita sessuale piena e alla funzione riproduttiva sana. Ma non basta parlarne, seppur in modo corretto, a livello divulgativo. E’ necessario che gli operatori sanitari e gli operatori sociali acquisiscano una conoscenza scientifica di queste problematiche nel corso della loro formazione universitaria e post-universitaria.
Fonti:
Ministero della Salute – Mutilazioni genitali femminili