Human Rights Day
Il 10 Dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni unite adottò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Quest’anno, in occasione del 72esimo anniversario della Giornata mondiale dei diritti umani, abbiamo pensato di raccogliere quattro dei tanti avvenimenti di attualità che dimostrano che la violazione dei diritti umani è più vicina a noi di quanto possiamo credere.
Troverete in ordine:
- Caporalato
- Rapporto fra Cina e Hong Kong; 30 giugno 2020, Cina: il Comitato permanente del Congresso Nazionale del popolo approva all’unanimità la nuova legge sulla Sicurezza Nazionale per Hong Kong
- Migranti: il viaggio della speranza
- 7 Febbraio 2020: Incarcerazione di Patrick Zaki, attivista egiziano per i diritti umani
1. Violazione Art. 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: il caporalato
Il fenomeno del caporalato prevede che grandi aziende, prevalentemente del settore agricolo ed edilizio, assumano manodopera a basso costo e in nero per mediazione di un “caporale” che approfittando dell’estremo bisogno di questi lavoratori compie un vero e proprio atto di sfruttamento del lavoro dipendente.
Lo sfruttamento è configurabile in presenza di una o più delle seguenti condizioni:
- reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
- la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
- sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Prima del 2011 (in cui con l’art. 12 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, è stato introdotto nel codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, e infine con la legge 199 del 4 Novembre 2016 in cui è stato regolamentato il reato di caporalato) il caporalato era una forma di schiavitù legalizzata e purtroppo ancora oggi esso è un fenomeno che coinvolge le aziende agricole del territorio italiano e non solo.
Le condizioni a cui sono sottoposti i lavoratori violano l’articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che afferma che “Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.”
Dal racconto dell’attivista nel campo dei diritti umani Yvan Sagnet, esso stesso vittima di caporalato e promotore di numerose manifestazioni oltre che fondatore dell’associazione NoCap, apprendiamo la realtà delle masserie gestite dai caporali. Egli racconta :“eravamo pagati a cottimo, non conoscevamo i padroni ma solo i caporali […] si lavora dalle tre di notte fino alle sei di sera, in 15 ore riempi 7 cassoni per meno di 20 euro, non puoi andare al campo a piedi, devi per forza prendere un furgoncino da 9 posti dove stanno 25 persone. Per il trasporto il caporale vuole 5 euro, ti devi pagare i panini a 3,50 euro, un litro di acqua costa 1,50 euro. Nel campo ci sono 40 gradi, alcuni si ammalano sotto l’effetto del sole, ho visto tre miei compagni cadere a terra e entrare in coma, per portarli al pronto soccorso il caporale ha chiesto 10 euro […] abbiamo ottenuto una legge sul caporalato, perché diventi efficace dobbiamo continuare a lottare”
Fonti e approfondimenti
Commento all’articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
- Legge sul caporalato
https://www.lavoroediritti.com/leggi-e-prassi/reato-di-caporalato-testo-legge-gazzetta-ufficiale/amp
- Omicidio San cataldo
- Riders e caporalato
- Agromafie e caporalato
https://www.osservatoriodiritti.it/2020/10/21/agromafie-e-caporalato-rapporto-cgil/
- Associazione NOCAP, Yvan Sagnet e Manifestazioni
Yvan Sagnet, Il Fatto Quotidiano
https://www.linkiesta.it/2019/08/caporalato-italia-migranti-nocap-yvan-sagnet/amp/
- Donne e caporalato in Puglia
Caporalato: la vera storia di Lucia, raccoglitrice di pomodori in Puglia (osservatoriodiritti.it)
Video
- Cortometraggio “la giornata” (min 5:50)
- Video inchiesta la7
- Yvan Sagnet racconta:
- Strage braccianti a Foggia
2. Violazione Art. 19, Art. 20 e Art. 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: la nuova legge sulla Sicurezza Nazionale viola il principio “Un Paese – Due Sistemi” ed è l’ultimo e più duro mezzo di repressione che si aggiunge al complicato e controverso rapporto tra Cina e Hong Kong
Hong Kong è una Regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese dal 1° luglio del 1997, quando è passata dal controllo del Regno Unito a quello cinese. L’accordo tra Cina e Gran Bretagna ha portato alla definizione della Legge Fondamentale, la “mini-Costituzione” di Hong Kong, che prevede un alto grado di autonomia per la regione, in accordo con il principio “Un Paese – Due sistemi”. Questo da un lato ribadisce l’unità nazionale della Cina, dall’altro riconosce l’autonomia di Hong Kong, contraddistinta da un proprio ordinamento giuridico, politico e legislativo, da un diverso sistema socio-economico e, sulla carta, da libertà di stampa e di associazione, che la Cina si impegna a garantire a Hong Kong fino al 2047.
Hong Kong non è comunque una piena democrazia: il capo esecutivo è scelto solamente dalle 1200 persone che compongono il Comitato elettorale, pesantemente controllato dal governo cinese, mentre il consiglio legislativo è eletto direttamente solo per metà.
La promessa di elezioni libere contenuta nella suddetta Basic Law e il contrastante rifiuto a liberalizzare le candidature a capo esecutivo, hanno portato a fine settembre 2014 alla protesta pacifica nota come Rivoluzione degli ombrelli (che prende il proprio nome dai mezzi usati dai manifestanti per difendersi dagli spray al peperoncino e dai gas lacrimogeni utilizzati dalla polizia), volta a richiedere un metodo di votazione a suffragio universale in vista dell’elezione del 2017. La rivolta, durata più di due mesi, è stata caratterizzata da una grandissima partecipazione studentesca e il giovanissimo Joshua Wong è stato uno dei volti delle proteste.
Nel marzo 2019 sono nuovamente scaturite manifestazioni in seguito alla proposta di modifica della legge sull’estradizione che avrebbe costituito un ulteriore passo verso l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong e, secondo molti, avrebbe consentito alla Cina di usarlo contro i suoi oppositori.
A seguito di un crescente uso della violenza da parte della polizia, che per reprimere le manifestazioni ha usato spray urticanti, sfollagente, proiettili di gomma e cannoni ad acqua, lo slogan dei protestanti è divenuto “Five demands, not one less”: tra le richieste, quella di stabilire una commissione d’inchiesta indipendente sulla condotta violenta della polizia durante le proteste, le dimissioni del capo esecutivo Carrie Lam (eletta nel 2017) e, nuovamente, una riforma che garantisca il suffragio universale.
Le manifestazioni pro-democrazia largamente pacifiche e inizialmente a prevalente composizione studentesca, si sono tenute con regolarità nel corso dell’anno, hanno coinvolto un numero sempre crescente di cittadini e sono continuate anche nel 2020, seppur con minore partecipazione a causa della pandemia da covid-19.
L’approvazione da parte del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo della legge sulla Sicurezza Nazionale, avvenuta il 30 giugno 2020 senza alcuna discussione pubblica, ha causato una pesante battuta d’arresto delle proteste. La legge prevede che la polizia locale possa arrestare chiunque sia accusato di compiere attività terroristiche e atti di separazione, sovversione, terrorismo e collusione con forze esterne, con pene carcerarie fino all’ergastolo. Tra questi atti, come riportano le bandiere viola usate dalla polizia per avvertire i manifestanti, rientrano il recitare slogan e mostrare striscioni o bandiere a favore dell’indipendenza di Hong Kong, come “Liberare Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi”, motto popolare tra i manifestanti.
Gli arresti fatti a seguito di questa legge sono stati centinaia, tra cui quelli dei tanti giovani attivisti coinvolti in organizzazioni pro-democrazia che a causa delle legge sono state sciolte, come Demosisto e Studentlocalism, il cui leader, l’attivista Tony Chung è stato arrestato con accuse di secessionismo e cospirazione per la pubblicazione di materiale sedizioso. Ai primi di dicembre è stato il turno di Wong, accusato di aver organizzato manifestazioni illegali nel 2019.
La comunità internazionale ha immediatamente condannato la mossa di Pechino. In ragione del legame tra Hong Kong e il Regno Unito, il Primo ministro britannico Boris Johnson ha offerto a 3 milioni di abitanti di Hong Kong che hanno diritto al passaporto britannico, la possibilità di soggiorno fino a 12 mesi nel Regno Unito nonché quella di fare richiesta della cittadinanza britannica. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Lyen ha sottolineato gli effetti negativi della nuova legislazione cinese in termini di fiducia e reputazione negli affari esteri, ma non sono pochi i dubbi riguardo l’efficacia di proposte di sanzione del regime cinese. La Cina infatti è un membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu con diritto di veto e gode di numerosi legami con i regimi mondiali più autoritari, nonché con diversi paesi africani membri del Consiglio di sicurezza.
Fonti e approfondimenti:
https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/09/hong-kong-protests-explained
https://www.ilpost.it/2019/08/17/crisi-hong-kong-spiegata/
https://www.linkiesta.it/2020/05/cina-pechino-hong-kong-un-paese-due-sistemi-stati-uniti/
https://www.internazionale.it/opinione/ilaria-maria-sala/2020/07/19/legge-sconvolge-hong-kong
https://www.osservatoriodiritti.it/2020/11/11/hong-kong-proteste-oggi-2020-mulan-ultime-notizie/
https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/07/03/hong-kong-cina-cinismo
documentario “Joshua: Teenager vs Superpower”
3. Violazione Art.3, Art.13 e Art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: naufragio dei migranti nel mar Mediterraneo.
L’11 novembre 2020 è la data dell’ultimo naufragio dall’inizio dell’anno, in cui sono rimaste coinvolte 6 persone: tra le vittime, un bambino di 6 anni di nome Joseph, morto in attesa dei soccorsi.
Questa è l’ennesima tragedia che si aggiunge a tutte le altre compiutesi nel Mediterraneo nel corso di questi anni.
Dal 2013 al 2020 le vittime ed i dispersi sono circa 20162: questi numeri sono in continuo aggiornamento.
Le stime di UNHCR mostrano che circa il 21% delle persone che intraprendono il viaggio su di un barcone nel mediterraneo sono bambini.
Allora, una domanda sorge spontanea (o, almeno, dovrebbe): perchè mai una madre e un padre decidono di mettere la vita dei loro figli in estremo pericolo su di un barcone? Quanta disperazione si deve celare dietro una scelta così estrema?
I motivi devono essere ricercati in quelle che sono le situazioni sia politiche che economiche di alcuni paesi africani.
Non è un caso infatti, che da Namibia, Rwanda e Botswana, dove vi è una situazione politico-economica stabile, il numero di migranti sia molto basso.
E non è un caso che il numero più alto di migranti provenga da Guinea, Sudan, Nigeria, Eritrea , Mali e Libia.
Analizziamo la condizione di ogni singolo paese.
–Guinea: il paese si trova in una crisi economica senza precedenti. Inoltre, il regime dittatoriale del presidente Alpha Condè è diventato molto più repressivo e violento rispetto al passato. Ogni giorno aumentano le vittime da parte sia della polizia che delle milizie Donzos, usate dal presidente come mezzo di repressione dell’opposizione. Il Paese è ad un passo dalla guerra civile.
- Sudan: sono molte le guerre che si stanno combattendo in questo momento. Ci sono tre conflitti in corso in Darfur, nella Regione del Nilo Azzurro e sui monti Nuba che continuano a provocare vittime e profughi.
- Nigeria: la situazione economica in questo paese è molto grave, 87 milioni di persone (su un totale di 200 mln) sono sotto il limite dell’euro al giorno. Come se non bastasse vi sono continui scontri e attentati da parte di estremisti islamici. Sta prendendo sempre più potenza la criminalità organizzata, che compie continue azioni di pirateria e rapimenti.
- Eritrea: il regime di Isais Afewerki è uno dei più oppressivi al mondo. Nel 2019 fu ordinata la chiusura dei centri sanitari gestiti dalla chiesa cattolica (40) e arrestati trenta cristiani senza un valido motivo. Inoltre questo paese è in guerra con l’Etiopia e per questo motivo le famiglie si vedono portare via i figli maschi a 17 anni, che sono obbligati a fare servizio militare per più di trent’anni. Le alternative sono la prigione o la tortura.
- Mali: lo scenario politico è segnato profondamente dall’azione di gruppi jihadisti (negli ultimi 12 mesi ha causato 2640 vittime) e dai conflitti comunitari tra milizie etniche.
- Libia: la storia degli ultimi anni di questo paese è stata caratterizzata da una sanguinosa guerra tra il generale Haftar e il governo di al-Serraj. Oggi la situazione sembra migliorare: ad ottobre scorso è stato annunciato il “cessate il fuoco” mentre a novembre è arrivato l’accordo per tenere le elezioni in tutto il paese entro un anno e mezzo.
Alcuni libri che ti suggeriamo a riguardo :
- “Lacrime di sale” di Pietro Bartolo e Lidia Tilotta.
- “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda.
- “Mediterraneo” di Armin Greder.
Fonti ed approfondimenti
Sul naufragio dell’11 novembre scorso:
Morire a sei mesi nel Mediterraneo – Annalisa Camilli
Perché i migranti scappano da casa loro – Il Sole 24 ORE
Sulla situazione di alcuni dei paesi citati:
Eritrea: caduta libera sui diritti umani con la scusa della guerra con l’Etiopia
https://www.google.it/amp/s/www.atlanteguerre.it/conflict/nigeria/amp/
Colpo di stato in Mali: cosa è successo?
https://www.google.it/amp/s/www.ilpost.it/2020/11/11/libia-elezioni/amp/
4. Violazione Art.3, Art. 4, Art. 5, Art.9 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: Patrick Zaki
Patrick Zaki è uno studente del master in Studi di genere e delle donne all’Università di Bologna e un attivista egiziano per i diritti delle minoranze religiose e delle persone lgbt in Egitto.
Il 7 Febbraio 2020 viaggia da Bologna in Egitto, per andare a trovare la famiglia durante le vacanze. Al suo arrivo Al Cairo viene arrestato e portato in una prigione a 120 km dal Cairo, dov’è tutt’ora.
Le accuse ufficiali riguardano la pubblicazione di notizie false sui social, promuovere la violenza e istigazione al terrorismo.
In realtà, come sostiene Paolo De Stefani, professore di Diritto internazionale dei diritti umani all’università di Padova, Zaki è stato arrestato perché raccoglieva informazioni sulle violazioni di diritti umani in Egitto e le diffondeva, così come Giulio Regeni.
Dal 7 Febbraio ad oggi, Zaki è andato incontro alle sole prime due udienze a Luglio, le successive sono state oggetto di continui rinvii, mentre l’attivista continua a rimanere in carcere.
L’avvocato di Zaki, Samuel Thabet ha spiegato che “Zaki è stato portato nell’ufficio dell’Agenzia della sicurezza nazionale all’interno dell’aeroporto, dove è stato bendato e trattenuto per 17 ore. È stato quindi trasferito in una sede della sicurezza nazionale della sua città di origine, Mansura, a circa 120 chilometri dal Cairo, dove è stato picchiato, spogliato e sottoposto a scosse elettriche sulla schiena e sulla pancia. È stato anche abusato verbalmente e minacciato di stupro”.
Amnesty segnala il forte rischio di torture e chiede il rilascio di Zaki che è peraltro un soggetto a rischio Covid-19, in quanto asmatico e le condizioni igienico-sanitarie del carcere sovraffollato ne favoriscono la diffusione.
Il 20 Novembre sono stati arrestati i vertici dell’ong Eipr, con cui collaborava anche Zaki, e rilasciati successivamente il 3 Dicembre.
Mentre Zaki rimane in carcere e viene ricevuto in udienza il 6 Dicembre.
Il 7 Dicembre viene riconfermata la detenzione per altri 45 giorni.
L’Europa ha preso posizione?
Le uniche e reali posizioni sono state prese dal Parlamento Europeo, in particolare dal Presidente David Sassoli che ha chiesto un immediato rilascio di Zaki già a Febbraio 2020.
In seguito, sono state portate avanti due interrogazioni parlamentari, ma a livello generale si riscontra la mancanza di una risoluzione frontale e compatta del Parlamento europeo, che ha dato spazio a numerose iniziative slegate però l’una dall’altra e fondate sull’attivismo di singoli europarlamentari.
Ad oggi la corte del Cairo prolunga la custodia per altri 45 giorni.
Fonti e approfondimenti:
https://www.osservatoriodiritti.it/2020/02/13/patrick-zaky-chi-e-amnesty-giulio-regeni-unibo-egitto/
https://www.amnesty.it/zaky-attivista-egiziano-a-rischio-tortura-va-scarcerato-subito/
https://www.eurobull.it/le-relazioni-unione-europea-egitto-alla-luce-del-caso-zaki?lang=fr